“Coloro insieme ai quali canti modificano il tuo canto”. La folgorante indicazione, ripresa dal Diario di Witold Gombrowicz, ha costituito un punto fermo dell’attività di Giuliano Scabia, poeta e narratore, drammaturgo che ha saputo rinnovare nel profondo le forme del Teatro tradizionale, nato a Padova nel 1935 e volato nel “Mondo Accanto”, di cui tanto aveva scritto e fantasticato, il 21 maggio 2021. Cantare insieme ha significato, per questo estroso artista, innanzitutto ascoltare ed esplorare, proprio attraverso l’ascolto, da dentro, la realtà e le sue contraddizioni, cercando una lingua capace di svelare e reinventare il mondo, di costruire – tanto nella pratica teatrale quanto nell’attività più strettamente letteraria – utopie condivise, “attimi di Paradiso Terrestre” per comunità rinnovate nel segno della parola-legame.
Seguire il filo di un percorso tanto lungo, continuamente aperto a nuove sperimentazioni e incontri e da questi, in particolare, nutrito, restituisce il ritratto di un autore apparentemente inafferrabile, che si muove con levità tra diversi generi e saperi, sempre coerente, pur nella molteplicità delle direzioni intraprese.
Nel ripercorrere gli oltre sessant’anni di inesausta attività poetica e teatrale di Giuliano Scabia, abbiamo seguito il filo conduttore delle sue “parole cardinali”, quelle “cellule mitiche”, deposte nella mente, capaci – se interrogate – di riassumere e illuminare esperienze, traiettorie e avventure di ricerca di un percorso artistico e biografico tra i più interessanti e ricchi del secondo Novecento.
Nella prima sezione antologica di scritti d’autore (Utopia, dentro e fuori. Poesia, città, margini, scontri) sono stati raccolti testi relativi al periodo degli esordi di Scabia, nei quali il giovane poeta, collaborando con Luigi Nono, Carlo Quartucci, Lisetta Carmi e altri protagonisti della scena culturale del tempo, riflette su quale sia il ruolo della poesia e soprattutto del teatro, uno strumento di indagine potente con il quale esplorare – non senza conflitti – le periferie delle nostre città e altri cruciali “spazi degli scontri”.
La seconda sezione (Teatro vagante. Dialettica, bestie, matti, fantastiche visioni) è invece dedicata alla successiva fase di dilatazione della pratica teatrale di Scabia, coinvolto ora in esperienze che lo allontanano dal Teatro istituzionale e dalle grandi città industriali del Nord per privilegiare territori e comunità diffuse, paesi di montagna, luoghi di incontro e di cura, manicomi, scuole, piazze, boschi e osterie. Prende forma l’idea del Teatro Vagante, archetipo incisivo dell’immaginario dell’autore e contenitore-simbolo di tutto il percorso successivo: è un’idea di teatro come ricerca, dialogo, attraversamento di più saperi, azione che disvela, unisce e rinnova individui e intere comunità.
Nella terza sezione (Alla ricerca dell’oro. Avventura, gioco, semi, pedagogia) il percorso testuale proposto privilegia l’aspetto pedagogico dell’attività dell’autore, centrata sulla dimensione del gioco e della scoperta. Per Scabia “tutto è pedagogia”: un atto reciproco – diverso dall’educazione – concepito come cammino condiviso, alla “ricerca dell’oro” che ciascuno, nascendo, ha avuto in dono. È un invito ad adottare una prospettiva diversa (un differente passo, quello dei bambini), a “non perdere il lumino”, perché soltanto chi sa giocare, cioè chi prende parte al gioco e ci conduce a giocare con lui, si rivela davvero maestro, capace di insegnare.
La quarta sezione (Foreste e paesi in dialogo. Teatro segreto, soglie, sentieri, apparizioni) racconta lo scambio e il fitto intreccio di voci intessuto con comunità amiche e territori, alla ricerca dell’“anima interna dei luoghi e delle parole”: è un “colloquio amoroso” con il Veneto di Zanzotto e di Meneghello, con le città “forme della mente” (in primis Padova e Venezia), con i palcoscenici dell’immaginario (come Roncisvalle) e con altri luoghi privati, teatro di dialoghi segreti e preziosi, rinnovati nel tempo.
Nella quinta sezione (Il racconto di Pava. Scrittura, corpo, voce, ascolto) sono collocati i testi, per lo più tratti dai due cicli narrativi – quello di Nane Oca e quello dell’Eterno andare – nei quali Padova (Pava) e il suo territorio, “luogo magico del ricordo”, si rivelano presenza luminosa e nucleo generativo della scrittura, serbatoio profondo delle storie a cui Scabia, affascinante affabulatore, ha ridato fiato e voce. La campionatura, che sonda la maggior parte dei romanzi dell’autore, permette di addentrarsi “oltre la soglia”, tra i molti sentieri che percorrono le “foreste del racconto”, per comprendere in che modo egli si sia misurato con l’arte del narrare, cercando una scrittura che avesse il respiro dell’epica, che fosse capace di “stare nella voce”.
La sesta sezione, infine, (La signora impressionante. Poesia, vento, tremito, suono) interroga la pratica e la concezione stessa della poesia, a cui Scabia si è dedicato per tutta la vita: dalla raccolta d’esordio, Padrone&Servo (1965) al progetto incompiuto del Canzoniere mio, che avrebbe dovuto riunire, nelle intenzioni dell’autore, tutta la sua produzione, la poesia è stata il filo conduttore di una ricerca artistica declinata nel segno di una grande versatilità, il trait d’union che ha legato, nel profondo, produzione teatrale, in prosa e in versi, espressione di un medesimo esercizio di ascolto e comprensione del mondo. Nel tremito della poesia si colloca l’inizio di ogni avventura, il primo passo, lo sguardo che apre all’esperimento, e si chiude, idealmente, il percorso di questo gioioso cantastorie, poeta gentile, maestro da scoprire, che con questo volume vi invitiamo a leggere e a conoscere.
Alla parte antologica degli scritti d’autore segue una selezione di testi – brevi interventi su quotidiani e riviste – che documentano la ricezione dell’opera di Scabia e l’attenzione riservata al suo lavoro nel tempo; un ricco ventaglio di contributi critici, inediti, affidati a studiosi provenienti da diversi ambiti disciplinari, tenta poi di ricostruire e approfondire il suo originale percorso al crocevia di generi differenti.
Nell’ultima parte del volume, vengono proposte alcune lettere, conservate nell’archivio personale di Scabia presso la Fondazione a lui intitolata, e una scelta di conversazioni tra le numerose interviste rilasciate con generosità negli anni; si tratta di testi che consentono di far emergere i nodi più rilevanti della poetica dell’autore e insieme la sua inconfondibile voce.
Per gentile concessione degli eredi, vengono riprodotti alcuni inediti di cui si dà conto nell’apposita sezione: i testi qui presentati permettono di entrare nell’officina della scrittura di Scabia, vero e proprio laboratorio artigianale, e forniscono un saggio dei sentieri interrotti o abbandonati nel paziente e continuo lavoro di intonazione della parola e di ascolto dei suoni, per “trovare la metrica e dentro l’esercizio il midollo della voce”.
Chiude il numero, che comprende anche preziosi documenti fotografici e una pregevole galleria con interventi d’artista, omaggio all’autore, a cura di Atelier dell’Errore e della Fondazione Wurmkos, la riproduzione delle copertine e soprattutto dei “santini” ideati e distribuiti da Scabia durante le letture e le messe in scena dei suoi testi: rappresentano una sorta di viatico, consegnato al lettore, perché continui ad addentrarsi oltre la soglia, nelle foreste del racconto o sul “carro pieno di vento” del Teatro Vagante, curioso di esplorare i percorsi che questo volume ha cercato di indicare e suggerire.