Riga n.
Alberto Arbasino
Gianfranco Marrone
Barthes e l'immagine/ Immagini di Barthes

L’incontro fra Roland Barthes e l’immagine non è casuale da nessuno dei due punti di vista.
Per Barthes, innanzitutto, che in più momenti, e con sempre maggiore insistenza, ha fatto dell’immagine il fulcro della sua riflessione di critico e teorico.
Per l’immagine, soprattutto, che ha trovato nel lavoro di Barthes più d’una occasione per rivelare il suo portato intellettuale e suoi significati culturali.
Tutto ciò in chiave d’analisi e comprensione del contemporaneo.
Barthes ha sempre avuto molti occhi per l’immagine: teatrale, fotografica, cinematografica, giornalistica, pubblicitaria, mediatica, artistica, letteraria (forse con una sola grande, significativa assenza: quella televisiva).
Da critico teatrale, l’immagine scenica è l’interstizio fra il movimento del corpo dell’attore e la staticità della scenografia e del costume. Da sociologo della civiltà di massa, l’immagine mediatica è quella falsamente mitologica delle foto degli attori scattate negli studi Harcourt, ma anche delle riproduzioni di manicaretti nelle riviste femminili, delle mostre di fotografie artatamente scioccanti, ma anche l’immagine di Gide che batte a macchina su un battello discendendo il fiume Congo. Da bachelardiano, è l’immaginario delle sostanze - aria, acqua, fuoco, ma anche schiume, creme, acidi - che s’intreccia al letterario e al mediatico. Da semiologo, è la questione di linguaggio altro e oltre il verbale, che se da una parte non fa che enfatizzarlo, ripeterlo, assestarlo, dall’altra lo tradisce, lo devia, lasciando vagare lo sguardo oltre il significato linguistico ovvio in nome di un’ottusità tanto programmatica quanto pericolosa. Da critico letterario e narratologo, si pone ancora la questione dell’immaginario della scrittura e del racconto, dell’ekfrasis e della pienezza iconica della parola, estetica e no. C’è poi tutta la problematica della relazione fra la esperienza fotografica - felicemente statica e passatista - e lo scorrere della pellicola cinematografica - naturalizzante e ideologica, a meno di non bloccare i fotogrammi. Altre figure ancora: nei Fragments, l’immagine è quella dell’altro rispetto all’innamorato in folle soliloquio («l’immagine è ciò da cui sono escluso»); a Cerisy, immagine è la frite esito del discorso, della stereotipizzazione del personaggio, insomma «la mia immagine pubblica».
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