Riga n.
Alberto Arbasino
Tullio Pericoli
Quel dipinto lo rivorremmo indietro

Saul Steinberg è stato uno dei più grandi artisti del Novecento, noto soprattutto per la straordinaria novità dei suoi disegni sulla società e sul paesaggio nordamericano. In Italia però arrivavano soprattutto i suoi libri e a noi disegnatori, già all’inizio degli anni Sessanta, indicavano la strada di una dilatazione delle capacità del disegno sia nella rappresentazione della realtà, sia nelle potenzialità linguistiche del segno. In verità l’Italia e soprattutto Milano erano stati luoghi di formazione per Steinberg.
Rumeno di nascita, Steinberg era venuto a Milano nel 1933 per studiare (architettura). Dopo la laurea arrivarono le leggi razziali e Steinberg, ebreo, dovette iniziare a nascondersi; prima in camere occasionali, poi nello studio dell’amico scrittore Aldo Buzzi. Scoperto e imprigionato a S. Vittore, venne mandato al confino in Abruzzo; da lì riuscì a imbarcarsi per gli Stati Uniti.
Steinberg rimase comunque sempre legato a Milano, dove tornò periodicamente e nascostamente fino alla morte avvenuta quasi un anno fa. A testimonianza di questo suo legame rimangono numerose tavole, in particolare sulla zona di Città Studi, da lui più frequentata. Esiste però anche un bellissimo, celeberrimo disegno della Galleria Vittorio Emanuele (che, tra parentesi, potrebbero prendere in considerazione gli amministratori milanesi tanto ansiosi di trovare un’immagine simbolica della città).
Tornò anche nel 1961, quando una famiglia milanese gli commissionò un grande dipinto da eseguire sulle pareti dell’androne di ingresso della loro casa in via Bigli 5, nel cuore antico di Milano, ora diventato il cuore dello sfacelo modaiolo. Il disegno per la palazzina Mayer, così era chiamata, venne realizzato da Steinberg con la tecnica del graffito: cioè preparando il muro con intonaco fresco per poi incidere su di esso i tratti delle figure. Il solco tracciato veniva poi riempito di nero così che l’opera appariva come un grande disegno a penna sul muro. L’opera, di varie decine di metri quadrati, ricopriva le quattro pareti dell’androne e rappresentava un grande paesaggio urbano con centinaia di personaggi, vie, architetture, situazioni intrecciate secondo le sue uniche e immediatamente riconoscibili modalità di rappresentazione e di trasformazione delle associazioni men¬tali in segni. Insomma una grande summa steinberghiana.
Durante la lavorazione, durata alcuni mesi tra estate e inverno, gli amici passavano a salutarlo e 5teinberg talvolta chiedeva loro di lasciare una traccia sull' opera: si potevano notare una sigla lasciata dall'architetto Rogers, una doppia "emme" di Marino Marini e molte altre firme.
Quando arrivai a Milano dalle Marche, una delle prime cose che mi dissero di visitare fu il dipinto di 5teinberg. Il portone di via Bigli era sempre spalancato e tutti coloro che passavano potevano entrare nell' androne: l'opera di 5teinberg, benché commissionata da un privato, era per tutti. Ogni volta che mi trovavo in quella zona non potevo trattenermi dal farci una visita.
Ad un certo punto il portone fu chiuso e il dipinto venne nascosto ai possibili visitatori. Un giorno, in un attacco di nostalgia, suonai un campanello, mi pare fosse di un! assicurazione, mi aprirono il portone ed entrai. Il graffito c’era ancora, ma l’androne di un palazzo signorile si era trasformato in un’autorimessa, i muri da candidi erano diventati grigi, negli angoli creati dal segno nervoso di Steinberg l’intonaco si stava sgretolando.
Pochi anni fa iniziarono a ristrutturare la palazzina Mayer e quel glorioso ingresso ospitò impalcature e attrezzi edilizi. Alla fine della ristrutturazione il portone si è riaperto, ma il graffito di Steinberg non c’è più. Era stato distrutto? Con alcuni amici abbiamo provato ad informarci, ma né il responsabile dell’impresa, né i nuovi proprietari ci hanno dato ascolto.

In «La Repubblica», 16 febbraio 2000
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