Marco Belpoliti e Elio Grazioli
Intervista a Dadamaino
Intervista a Dadamaino
La linearità consequenziale degli sviluppi del suo lavoro fanno di lei un’artista rigorosa e insieme caparbia. Teme le sbandate? Ha una concezione chiusa, razionalista, dell’arte e dell’artista, della storia e della persona?
Assolutamente no, ritengo che la coerenza non sia un rettilineo che si è obbligati a percorrere, ma una strada che tu segui ascoltando le voci che vengono da dentro di te, che sono si diversa risonanza, senza per questo mutare con leggerezza la strada che ti sei imposto di perseguire.
Che cos’è allora la coerenza?
La coerenza è seguire il proprio istinto e farne un linguaggio. In realtà io ho cambiato apparentemente diverse volte, ma conservando una linea che mi ha salvato da inutili sbandate. Ora faccio un lavoro che si chiama heideggerianamente Sein und Zeit, Essere e tempo, che è un argomento che mi interessa molto, cioè il capire che noi siamo su questo pianeta, ma non sappiamo niente: da dove veniamo, se siamo gli unici esseri viventi di un certo tipo che popolano il cosmo, se siamo, cosa piuttosto incredibile, gli unici esseri umani (si fa per dire) che abitano parte o tutte le galassie e che progrediscono nel pensiero sia nel bene che nel male. Credo che questo lavoro, che faccio su materiale trasparente, senza telaio, come una superficie di vetro incisa e dove tutti i segni sono contati, non sia casuale, ma consente una metodica che lo porta ad un tipo di ordine.
I suoi cambiamenti costituiscono delle risposte ai cambiamenti intorno a lei?
Sì certo. Se tu pensi ad un quadro tradizionale o meno, c’è una notevole differenza. Sono quasi convinta che con il passare del tempo si approfondiscono le cose.
Ma siamo noi a cambiare o cambia il mondo intorno a noi?
Direi che percorriamo il cambiamento del mondo. Questo è il compito dell’arte anche.
Quanto pensa di essere cambiata rispetto ai suoi inizi, al progetto che immaginava quando ha cominciato?
Dai tempi di Fontana, Castellani, Manzoni ed Azimuth è cambiato molto. Noi facevamo i nostri lavori e non pensavamo neanche di venderli. Ora invece Manzoni, allora vilipeso, è diventato uno degli artisti più famosi del mondo. Noi superstiti abbiamo continuato su questa strada, ciascuno in modo proprio, di cercare qualcosa di inedito che cambiasse (modestamente) la faccia del mondo e dell’uomo, sovente così crudele ed egoista. Eppure un certo tipo di politica era presente e forse lo è ancora nel nostro modo di operare. La ricerca dell’arte è qualcosa che riguarda la sensibilità e l'intelletto, cioè non vuole la guerra, ma anche la pace sovente è subita come una punizione. Forse non sappiamo neppure noi quello che vogliamo realmente.
Mi pare che lei si senta più vicina ad artisti anche molto diversi stilisticamente, esteticamente, ma accomunati dalla scelta politica. È così? Perché? Qual è oggi per lei il rapporto tra arte e politica?
Be’, il mondo che sognavamo negli anni ’70 è cambiato in peggio e quell’utopia è diventata un sogno abbastanza lontano.
Ma come si rispecchia il suo rapporto con la politica nel suo fare arte, nel suo produrre opere?
È difficile dirlo. Vorresti la giustizia subito, non dico la giustizia paludata, ma una giustizia in divenire, che ci renda tutti più savi, onesti… Ma non è così…
Che cosa pensa del ruolo della cultura in arte?
Che è fondamentale. Non c’è arte senza una cultura profonda e non c’è cultura senza arte che riscatti le morte gore del quieto vivere. Sovente si parte bene...
Ma della cultura nel senso dello studio...
Be’, se non parti da quella sei un genio. Hai inventato una nuova cultura.
Cosa sta leggendo in questo momento?
Niente di nuovo. Ho iniziato a rileggere Leopardi, lo Zibaldone, che trovo assai interessante rispetto a certi tromboni attuali.
Pensa che l’arte e l’artista d’oggi siano all’altezza dei tempi?
Non lo so, lo spero.
Ma lei pensa che esistano «grandi artisti» anche oggi?
Lo spero. Esistono grandi artisti anche oggi, altrimenti che senso avrebbe?
Per molto tempo ha anche scritto per altri artisti e recensito mostre altrui. Lo fa ancora?
Non lo faccio più perché non ho più molto tempo
Assolutamente no, ritengo che la coerenza non sia un rettilineo che si è obbligati a percorrere, ma una strada che tu segui ascoltando le voci che vengono da dentro di te, che sono si diversa risonanza, senza per questo mutare con leggerezza la strada che ti sei imposto di perseguire.
Che cos’è allora la coerenza?
La coerenza è seguire il proprio istinto e farne un linguaggio. In realtà io ho cambiato apparentemente diverse volte, ma conservando una linea che mi ha salvato da inutili sbandate. Ora faccio un lavoro che si chiama heideggerianamente Sein und Zeit, Essere e tempo, che è un argomento che mi interessa molto, cioè il capire che noi siamo su questo pianeta, ma non sappiamo niente: da dove veniamo, se siamo gli unici esseri viventi di un certo tipo che popolano il cosmo, se siamo, cosa piuttosto incredibile, gli unici esseri umani (si fa per dire) che abitano parte o tutte le galassie e che progrediscono nel pensiero sia nel bene che nel male. Credo che questo lavoro, che faccio su materiale trasparente, senza telaio, come una superficie di vetro incisa e dove tutti i segni sono contati, non sia casuale, ma consente una metodica che lo porta ad un tipo di ordine.
I suoi cambiamenti costituiscono delle risposte ai cambiamenti intorno a lei?
Sì certo. Se tu pensi ad un quadro tradizionale o meno, c’è una notevole differenza. Sono quasi convinta che con il passare del tempo si approfondiscono le cose.
Ma siamo noi a cambiare o cambia il mondo intorno a noi?
Direi che percorriamo il cambiamento del mondo. Questo è il compito dell’arte anche.
Quanto pensa di essere cambiata rispetto ai suoi inizi, al progetto che immaginava quando ha cominciato?
Dai tempi di Fontana, Castellani, Manzoni ed Azimuth è cambiato molto. Noi facevamo i nostri lavori e non pensavamo neanche di venderli. Ora invece Manzoni, allora vilipeso, è diventato uno degli artisti più famosi del mondo. Noi superstiti abbiamo continuato su questa strada, ciascuno in modo proprio, di cercare qualcosa di inedito che cambiasse (modestamente) la faccia del mondo e dell’uomo, sovente così crudele ed egoista. Eppure un certo tipo di politica era presente e forse lo è ancora nel nostro modo di operare. La ricerca dell’arte è qualcosa che riguarda la sensibilità e l'intelletto, cioè non vuole la guerra, ma anche la pace sovente è subita come una punizione. Forse non sappiamo neppure noi quello che vogliamo realmente.
Mi pare che lei si senta più vicina ad artisti anche molto diversi stilisticamente, esteticamente, ma accomunati dalla scelta politica. È così? Perché? Qual è oggi per lei il rapporto tra arte e politica?
Be’, il mondo che sognavamo negli anni ’70 è cambiato in peggio e quell’utopia è diventata un sogno abbastanza lontano.
Ma come si rispecchia il suo rapporto con la politica nel suo fare arte, nel suo produrre opere?
È difficile dirlo. Vorresti la giustizia subito, non dico la giustizia paludata, ma una giustizia in divenire, che ci renda tutti più savi, onesti… Ma non è così…
Che cosa pensa del ruolo della cultura in arte?
Che è fondamentale. Non c’è arte senza una cultura profonda e non c’è cultura senza arte che riscatti le morte gore del quieto vivere. Sovente si parte bene...
Ma della cultura nel senso dello studio...
Be’, se non parti da quella sei un genio. Hai inventato una nuova cultura.
Cosa sta leggendo in questo momento?
Niente di nuovo. Ho iniziato a rileggere Leopardi, lo Zibaldone, che trovo assai interessante rispetto a certi tromboni attuali.
Pensa che l’arte e l’artista d’oggi siano all’altezza dei tempi?
Non lo so, lo spero.
Ma lei pensa che esistano «grandi artisti» anche oggi?
Lo spero. Esistono grandi artisti anche oggi, altrimenti che senso avrebbe?
Per molto tempo ha anche scritto per altri artisti e recensito mostre altrui. Lo fa ancora?
Non lo faccio più perché non ho più molto tempo