Riga, una collana che avvicina ai grandi innovatori del Novecento
«Riga» è nata nel luglio del 1991 senza nessun particolare programma. Volevamo piuttosto fare la rivista «che ci sarebbe piaciuto leggere». Una rivista dedicata al contemporaneo, ad autori e temi che ci sembravano rilevanti nel corso dell’ultimo secolo, ma non solo. Una rivista che conservasse la memoria del passato, e insieme che si protendesse sul futuro.
Ci siamo occupati di letteratura, arte, filosofia, con un taglio interdisciplinare, tuttavia più attenti allo stile di lavoro che non alle singole discipline e ai loro statuti.
Il nome, «Riga», indica quel luogo dell’infanzia, come abbiamo scritto nel primo editoriale, un luogo possibile e impossibile verso cui abbiamo, con fatica, nuotato tutti, per imparare a leggere e scrivere.
Il primo numero, dedicato ad Alberto Giacometti, era curato da Marco Belpoliti, Claudio Fontana e Elio Grazioli (numero rifatto e ripensato con testi nuovi e nuovi documenti alcuni anni dopo). Il secondo a Leggere e scrivere, il terzo a Nanni Valentini, un artista, scultore e pittore, per noi significativo, scomparso da poco.
Fino al terzo numero i curatori di «Riga» sono stati questi tre e l’editore Hestia. Dal quarto numero l’editore è mutato; è diventato Marcos y Marcos, così come si è modificato il gruppo redazionale. La direzione è stata assunta da Marco Belpoliti ed Elio Grazioli che continuano a curarla anche ora.
Dal numero 27 da rivista «Riga» si è trasformata in collana di volumi, rendendo esplicita una vocazione editoriale già insita nel lavoro editoriale precedente, dato che almeno esteriormente si presentano come dei volumi monografici. Con l’ultimo volume, dedicato a PopCamp, e curato da Fabio Cleto, è anche cambiata la veste grafica (in precedenza di Teresa Doria), curata ora da Paola Lenarduzzi (Studiopaola).
In 18 anni sono usciti 27 volumi, un volume o due all’anno, con cadenza semestrale.
«Riga» è per noi infatti non solo un prodotto editoriale (è senza dubbio innanzitutto questo: una serie di volumi); è prima di tutto, non ci stanchiamo di ripeterlo, un modo di fare, uno stile di lavoro, una modalità con cui intervenire sul presente.
L’idea che la cultura è frutto di un accumulo, e insieme un lavoro paziente, silenzioso e costante. Non c’è un solo volume di «Riga» che urli una qualche verità in modo assoluto ed esclusivo. Somiglia piuttosto a una goccia che scava il sasso, un sasso - la realtà - che sappiamo benissimo quanto sia duro e inattaccabile.
Pensiamo di aver lavorato non solo per noi, ma per tutti in generale. Qualcosa di cui andiamo particolarmente orgogliosi e che offriamo con piacere, che si può liberamente ricevere, oppure respingere. A ciascuno di decidere.