Riga n. 28
Gianni Celati
Linnio Accorroni
Professore, filmaker, narratore, profeta. Tutto Gianni Celati nell’ultima «Riga»
Liberazione, 14 Ottobre 2008

La rivista Riga, nata nel luglio 1991 - e che in 18 anni ha pubblicato 27 volumi - e curata da Marco Belpoliti e Elio Grazioli, rappresenta una rara e felice anomalia nel panorama spesso sconfortante e tristanzuolo della nostra editoria. Ogni numero è un unicum per qualità e quantità dei contenuti, per rigore critico-documentario e, adesso, anche per l’adozione di una veste grafica che, dopo la sobrietà quasi ascetica dei numeri iniziali, appare adesso molto più curata e chic. Val la pena  possederla e collezionarla, indipendentemente dall’oggetto analizzato dalla monografia: quasi sempre un artista, ma ogni tanto anche raffinate incursioni su tendenze artistiche o, addirittura, «progetti di riviste mai nate». Una pubblicazione da scaffale speciale, un fascicolo per neofiti, per appassionati, per connaisseurs. Insomma Riga è, per dirla con i curatori, «un modo di fare, uno stile di lavoro, una modalità con cui intervenire sul presente». Questo numero poi è ancora più speciale degli altri perché si occupa di uno fra i maggiori narratori viventi, scrittore tra i più amati e mitizzati a dispetto della sua riservatezza e che, da trentacinque anni, riesce sempre a sorprenderci: Gianni Celati, ovvero lo scrittore uno e multiplo, singolare e plurale. (Riga. Gianni Celati, a cura di Marco Belpoliti e Elio Grazioli, Marcos y Marcos, pp. 333, euro 25).
Ma quanti sono infatti i Gianni Celati? C’è il G.C. per esempio delle Comiche ( 1970), opera progettata e scritta di getto, contagiato dalle scritture dei «matti» dell’ospedale psichiatrico di Pesaro, che poteva leggere grazie agli uffici di un suo amico psichiatra; lettura che lui ritiene fondante per il prosieguo della propria attività almeno quanto la Critica della ragion pura di Kant. C’è il G.C. della trilogia Le avventure del Guizzardi, La banda dei sospiri e Lunario del Paradiso (tra il 1972 ed il 1978) che sa trasformare macchiette di ribelli e mattoidi nei protagonisti di un libro ipnotico come una nenia continuamente rimodulata, un contravveleno in prosa che sa espurgare e sradicare malinconie e depressioni. C’è il G.C. professore di Letteratura angloamericana al Dams che tiene un corso «eseguito nel tempo della musica di bufera dell’epoca» (così chiosa perfettamente Giuseppe Montesano) sull’Alice carrolliana, icona amatissima dal ’77 e dintorni, quando Bologna, ma non solo, era satura di fantasia insurrezionale. C’è il G.C. di Narratori delle pianure (1985) e Versola foce (1988), racconti di osservazione e riflessione, improntati ad una poetica rigorosa ed umile, quanto più prossima ed affine ad un senso quasi ancestrale del narrare. C’è il G.C. filmaker, quello che realizza opere come Strada provinciale delle
anime (1991), Il mondo di Luigi Ghirri (1999) e Visioni di case che crollano (2003), documentari imprevedibili come i sogni, spiazzati e spiazzanti non solo per chi li vede, ma anche per chi li fa che illuminano aspetti marginali ed ignorati del paesaggio e che nascono dall’incontro, davvero magico, con quello straordinario fotografo e personaggio che era Ghirri, «colui che ci ha insegnato a guardare il mondo senza l’ombra di un disprezzo» (Sebaste dixit). C’è il G.C. di Fata morgana, (2005) libro-collage di storie intessute dalla fantasia di un narratore che, nella solitudine di un villaggio normanno, collaziona materiali documentali da antropologia fantastica sul misterioso popolo dei Gamuna. C’è il G. C. profeta ilare dell’allegria («un modo essenziale dell’andare fuori di sé, verso l’esteriorità di tutto ciò che non siamo ») e dell’impensato, della fantasticazione ininterrotta e della passione verso la zavattiniana qualsiasità, intesi come salvifici antidoti alla letteratura industriale del «libro per tutti», della letteratura-marketing, quella che vuole l’autore venduto (in tutti i sensi) e cancella ogni differenza empatica ed emotiva fra testo e testo, fra lettore e lettore, fra narratore e narratore. Ma la stupefacente creatività e vitalità di questo artista irreggimentabile che, a dispetto dei suoi 72 anni ci pare sempre nelle vesti dell’eterno studente, non si esaurisce nella galleriadi fulminee istantanee sopra tracciate. E sempre lì, in qualche parte
del mondo a «consumare la propria vita tra sognare e fantasticare», come in un passo dello Zibaldone, a darci sollievo con la forza trascinante delle sue storie e narrazioni, con la sua ricchezza di «manufatti immaginativi», costruiti su un complesso assemblaggio di parole, percezioni, immagini e fantasticherie. Nella copertina di questo bellissimo Riga a lui dedicato c’è una foto che vale quanto una dichiarazione di poetica: una totemica Renault 4 verdina, ferma sul ciglio della strada, ai margini di un campo di stoppie con l’autore chino a terra che prende appunti. Ma ad impreziosire questo volume di Riga anche una copiosa serie di suoi testi inediti, tra cui la riscrittura
di Comiche, una sorta di tracciato autobiografico composto dall’autore, scandito da ampie  conversazioni realizzate con amici, traduttori e critici, pezzi di viaggio (al Sud dell’Italia, a Nairobi), racconti, saggi e studi (su Giacometti, sul comico, sulla fotografia italiana, sul narrare, su Wim Wenders). Aprono il volume testi di scrittori (Arminio, Benati, Cavazzoni), seguono alcune delle migliori recensioni dei suoi libri apparse nel corso degli anni e una rassegna di nuovi saggi che giovani studiosi hanno dedicato all’opera di Celati nei vari momenti della sua quasi quarantennale attività di scrittore. Il testo è arricchito da una scelta di fotografie inedite di Celati, commentate da didascalie dettate dall’autore stesso. Completano il volume gli interventi di due fotografe, Roberta Sironi e Marina Ballo Charmet, dedicati a temi assai vicini all’opera di Celati: l’abitare provvisorio e il paesaggio urbano.
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