Riga n. 10
Nodi
Valerio Magrelli
Sua eccellenza il nodo e i suoi cultori
L'Unità, 01 Luglio 1996

In un articolo del luglio 1983, più tardi ripreso in volume, Italo Calvino recensì un’insolita mostra parigina, Nodi e legatura, organizzata da Gilbert Lascault. Davanti ai reperti etnografici esposti (cordicelle maori, tessuti giapponesi, treccie peruviane e frange usate nei rituali buddisti), lo scrittore si confessava affascinato dall’aspetto al contempo mentale e materiale della questione. Da un lato, infatti, il concetto di nodo gli dettava acute considerazioni geometrico-spaziali ispirate ai più avanzati studi sulla topologia; dall’altro, la concretezza delle sue realizzazioni lo rinviava a un universo brulicante di vita. Partito da un approccio matematizzante, l’autore di Marcovaldo si ritrovava a elencare una lunga serie di mestieri accomunati dalla precisione che sempre esige il gesto del legare.
Il risultato di tali scorribande tra civiltà lontane nel tempo e nello spazio, era una lista composita e vivace al pari di un racconto, e che vedeva sfilare marinai e chirurghi, ciabattini e acrobati, alpinisti e sarti, pescatori e imballatori, macellai e cestai, fabbricanti di tappeti e accordatori di pianoforti, campeggiatori e impagliatori di sedie, taglialegna e merlettaie, rilegatori di libri e fabbricanti di racchette, boia e infilatori di collane… Alla fine di un simile percorso, il narratore affermava: «L’arte di fare nodi, culmine insieme dell’astrazione mentale e della manualità, potrebbe essere vista come la caratteristica umana per eccellenza, quanto e forse ancor più del linguaggio».
Proprio a Calvino venne dedicato, lo scorso anno, un numero monografico di Riga. La stessa rivista, tra le più interessanti del panorama italiano, torna ora in edicola consacrando la sua decima uscita a una scelta di saggi raccolti sotto il titolo di Nodi. Dopo essersi occupati delle opere di Georges Perec e Marcel Duchamp, Antonio Delfini e Witold Gombrowicz, dopo aver affrontato il problematico soggetto Italia, i due redattori e ispiratori passano adesso a uno spunto di natura spiccatamente interdisciplinare. È infatti una ricerca per molti versi ancora pionieristica quella suggerita da Elio Grazioli e Marco Belpoliti. Lo si capisce bene dall’ampio contributo di quest’ultimo, che firma il numero insieme a Jean-Michel Kantor.
Belpoliti ricorda l’importanza del saggio di Calvino, e avanza la proposta di una futura, auspicabile Enciclopedia dei nodi. «Per essere minimamente completo, un testo simile dovrebbe comprendere molti aspetti dello scibile umano, dal momento che i nodi sono un tema presente n vari campi, e per la loro natura composita costituiscono un autentico argomento-incrocio». Fu forse proprio per questo motivo che nemmeno Gottfried Semper riuscì a sviluppare adeguatamente le sue intuizioni al riguardo, malagrado fosse il primo studioso a scorgere nel nodo il più antico simbolo tecnico e l’espressione delle prime idee cosmogoniche. Probabilmente, ipotizza Belpoliti, la sua omissione impedì a questa materia di avere cittadinanza nella cultura moderna, condannandola così ad essere rubricata ora sotto la voce «ornamento», ora sotto quella «strumento», alla stregua di una questione secondaria e minore.
È da queste constatazioni che è sorto l’ultimo numero di Riga, con risultati a dir poco avvincenti. Basta infatti sfogliare il sommario per trovarsi davanti ad uno spettro tematico di stupefacente ampiezza. Ecco via via sfilare nodi poetici (René Char), linguistici (Maria Sebregondi e Stefano Bartezzaghi) e figurativi (Luca Pancrazzi, Lino Gerosa, Remo Salvatori), accanto a densi contributi sul simbolismo dell’intreccio (Mircea Elide, A.K. Coomaraswamy, Joseph Rickwort). In tanta ricchezza andranno almeno citate le pagine su Alessandro e il nodo di Gordia, di Corrado Bologna, quelle sull’impiego dei nodi nella pubblicità, di Marco Belpoliti e lo stupefacente, raccapricciante studio sui misteriosi topi «auto-legati», di A.J. Ophof.
Davanti all’enigma di animali in grado di eseguire tali grovigli, ci viene incontro una frase di Paul Valere. Anche questo scrittore, in modo analogo a quella di Calvino, insiste sulla natura intimamente umana di queste produzioni, per affermare: «Il ciclone può radere al suolo una città, ma non sarà mai in grado di aprire una busta da lettere, o sciogliere il più semplice nodo».
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