Massimo Marino
Viva Celati
«Corriere di Bologna», 05 Marzo 2020
Viva Celati
«Corriere di Bologna», 05 Marzo 2020
Risalta sempre di più il ruolo di Gianni Celati nella cultura italiana degli ultimi 50 anni. Dopo il Meridiano Mondadori del 2016 dedicato alle sue opere narrative, e il libro-omaggio per i suoi 80 anni, Animazioni e incantamenti del 2017, esce ora un numero della rivista monografica «Riga» a lui dedicato (pp. 510, euro 28). È la riedizione di un precedente volume, arricchito di circa 200 pagine, pubblicato ora da Quodlibet e curato da Marco Belpoliti, Marco Sironi e Anna Stefi. Abbiamo intervistato Belpoliti, docente di Letteratura italiana all'Università di Bergamo e direttore della rivista «doppiozero».
Nell'editoriale affermate che Celati è uno dei maggiori narratori italiani viventi. Ci spiega?
«Celati ha rinnovato più di una volta la nostra narrativa. Coi primi libri, da Comiche (1971) a La banda dei sospiri (1976) ha ripreso stilemi novecenteschi, da Joyce a Céline, facendo protagonista delle sue storie l'idiota, il matto, il ragazzino, con operazioni linguistiche innovative che guardavano anche al cinema muto americano. Con La banda dei sospiri ha inventato la narrativa giovane, aprendo la strada a autori degli anni '80 come Palandri, Tondelli, Piersanti, fino alla Ballestra».
Dopo quel libro Celati abbandona il romanzo e torna con toni radicalmente nuovi nel 1985 con Narratori delle pianure...
«La terza e la quarta fase nascono da uno stesso ceppo e sono quel Novellino delle pianure e la successiva letteratura di viaggio, che culmina in Verso la foce (1989). Reinventa un genere che sembrava impossibile rinnovare: lo fa raccontando luoghi marginali nella valle del Po, apparentemente squallidi, segnati dall'industrializzazione delle campagne e dall'abbandono».
E arriva Luigi Ghirri...
«Il grande fotografo gli insegna a vedere il paesaggio, anche se in Celati c'è sempre una malinconia di fondo che spesso sfocia nella depressione e in Ghirri invece la gioia, la felicità, l'incanto del guardare».
Cosa c'è di nuovo in questo «Riga» n. 40, rispetto al precedente dedicato allo scrittore bolognese?
«Ci sono pagine inedite, taccuini di viaggi e altri testi dispersi. Ci sono sprazzi del Celati saggista e consulente editoriale, che non abbiamo potuto inserire nel Meridiano, dedicato solo all'opera narrativa. Leggendo i suoi interventi, si scopre che quest'altro Celati è originale come il narratore, con una capacità teorica riscontrabile in pochi altri scrittori».
E il Celati traduttore, per esempio di Céline e Joyce?
«Anche quello è unico. Ha una conoscenza profonda delle letterature angloamericana e francese, e ciò lo porta a una riflessione assolutamente originale e di ampio raggio sulla questione del romanzesco dal `700 a oggi e sulla sua crisi. E, a suo modo, è uno scrittore politico».
Eppure è lontano dall'impegno che andava di moda negli anni '70: parla di «passione per il mondo così com'è», per guidarti poi da un'altra parte, rivelando legami, riti, rimozioni, sparizioni, suscitando uno speciale incanto con il profondo ascolto delle cose.
«È "politico" perché analizza i legami sociali e antropologici di una polis in trasformazione, e un paesaggio, quello dell'epoca dell'esplosione di Chernobyl, che apre una nuova sensibilità. Si vede che molti suoi materiali non sono finiti: questo mostra il metodo di lavoro, e ci lascia una gran libertà nella lettura. Un'altra parte della sua attività, non completamente compiuta, è quella dei film. È un caso unico in Europa tra gli scrittori, avvicinabile per certi aspetti a Handke, ma anche a Bernhard. Non è stato scoperto a livello internazionale perché non è facilmente traducibile».
È stato criticato per quel suo presunto «disimpegno», per quello sguardo incantato che a qualcuno è sembrato bamboleggiante...
«Sono stati gli ex esponenti dei "Quaderni piacentini", legati a una concezione di eroica sinistra che ci ha portato alla grande sconfitta. Loro hanno fatto il '68, e con i loro epigoni chiedono ancora alla letteratura un'attitudine militante, ormai esaurita».
Cos'altro c'è da scoprire di Celati?
«Stiamo preparando per Quodlibet un libro di interviste. Siamo a 560 pagine! Celati è ancora tutto da scoprire. È un autore per il futuro».
Nell'editoriale affermate che Celati è uno dei maggiori narratori italiani viventi. Ci spiega?
«Celati ha rinnovato più di una volta la nostra narrativa. Coi primi libri, da Comiche (1971) a La banda dei sospiri (1976) ha ripreso stilemi novecenteschi, da Joyce a Céline, facendo protagonista delle sue storie l'idiota, il matto, il ragazzino, con operazioni linguistiche innovative che guardavano anche al cinema muto americano. Con La banda dei sospiri ha inventato la narrativa giovane, aprendo la strada a autori degli anni '80 come Palandri, Tondelli, Piersanti, fino alla Ballestra».
Dopo quel libro Celati abbandona il romanzo e torna con toni radicalmente nuovi nel 1985 con Narratori delle pianure...
«La terza e la quarta fase nascono da uno stesso ceppo e sono quel Novellino delle pianure e la successiva letteratura di viaggio, che culmina in Verso la foce (1989). Reinventa un genere che sembrava impossibile rinnovare: lo fa raccontando luoghi marginali nella valle del Po, apparentemente squallidi, segnati dall'industrializzazione delle campagne e dall'abbandono».
E arriva Luigi Ghirri...
«Il grande fotografo gli insegna a vedere il paesaggio, anche se in Celati c'è sempre una malinconia di fondo che spesso sfocia nella depressione e in Ghirri invece la gioia, la felicità, l'incanto del guardare».
Cosa c'è di nuovo in questo «Riga» n. 40, rispetto al precedente dedicato allo scrittore bolognese?
«Ci sono pagine inedite, taccuini di viaggi e altri testi dispersi. Ci sono sprazzi del Celati saggista e consulente editoriale, che non abbiamo potuto inserire nel Meridiano, dedicato solo all'opera narrativa. Leggendo i suoi interventi, si scopre che quest'altro Celati è originale come il narratore, con una capacità teorica riscontrabile in pochi altri scrittori».
E il Celati traduttore, per esempio di Céline e Joyce?
«Anche quello è unico. Ha una conoscenza profonda delle letterature angloamericana e francese, e ciò lo porta a una riflessione assolutamente originale e di ampio raggio sulla questione del romanzesco dal `700 a oggi e sulla sua crisi. E, a suo modo, è uno scrittore politico».
Eppure è lontano dall'impegno che andava di moda negli anni '70: parla di «passione per il mondo così com'è», per guidarti poi da un'altra parte, rivelando legami, riti, rimozioni, sparizioni, suscitando uno speciale incanto con il profondo ascolto delle cose.
«È "politico" perché analizza i legami sociali e antropologici di una polis in trasformazione, e un paesaggio, quello dell'epoca dell'esplosione di Chernobyl, che apre una nuova sensibilità. Si vede che molti suoi materiali non sono finiti: questo mostra il metodo di lavoro, e ci lascia una gran libertà nella lettura. Un'altra parte della sua attività, non completamente compiuta, è quella dei film. È un caso unico in Europa tra gli scrittori, avvicinabile per certi aspetti a Handke, ma anche a Bernhard. Non è stato scoperto a livello internazionale perché non è facilmente traducibile».
È stato criticato per quel suo presunto «disimpegno», per quello sguardo incantato che a qualcuno è sembrato bamboleggiante...
«Sono stati gli ex esponenti dei "Quaderni piacentini", legati a una concezione di eroica sinistra che ci ha portato alla grande sconfitta. Loro hanno fatto il '68, e con i loro epigoni chiedono ancora alla letteratura un'attitudine militante, ormai esaurita».
Cos'altro c'è da scoprire di Celati?
«Stiamo preparando per Quodlibet un libro di interviste. Siamo a 560 pagine! Celati è ancora tutto da scoprire. È un autore per il futuro».