Fino alla metà degli anni ’70, per la cultura italiana Levi è stato un testimone, il testimone privilegiato di una delle maggiori tragedie di questo secolo, la distruzione degli ebrei d’Europa. Che Levi fosse anche uno scrittore, un grande scrittore, se ne erano accorti in pochi: Franco Antonicelli, che nel 1947 aveva pubblicato presso un piccolo editore di Torino, De Silva, Se questo è un uomo; Arrigo Cajumi, che l’aveva subito battezzato tale su «La Stampa»; Italo Calvino, e pochi altri, tra cui Bruno Fonzi che nel 1959 aveva accolto la ristampa di quel libro con molto favore. Forse i tempi non erano ancora maturi per comprendere il lavoro di Levi, come disse lui stesso, perciò, nonostante la pubblicazione della Tregua nel 1963, libro picaresco e affabulante, Levi rimase a lungo un chimico che scriveva. La sua ricezione è stata dunque lenta, come documentano anche gli scritti che abbiamo qui raccolto, tutti di poeti, scrittori, saggisti, pubblicati in occasione dell’uscita delle sue opere (l’antologia che da Calvino arriva a George Steiner non ha alcuna pretesa di completezza, ma è invece un contributo alla comprensione del lavoro di Levi attraverso le parole di alcuni compagni di strada, alcuni di quelli che furono con lui in stretto dialogo di lettura e scrittura).
Dunque, questo numero di «Riga» non è dedicato al testimone, ma allo scrittore, al narratore e al poeta, anche se è difficile separare la volontà di testimoniare - il contenuto dei libri di Levi - dal modo in cui egli racconta o scrive in versi. Tuttavia, come il lettore vedrà, abbiamo privilegiato l’aspetto letterario di Levi, scrittore che pone notevoli problemi a chi della letteratura possiede un’idea semplice e schematica. Levi infatti è senza dubbio un narratore - su questo aspetto si soffermano diversi saggi del numero (Giglioli, Grazioli) -, nasce come tale, è l’«uomo di consiglio» di cui parla Walter Benjamin a proposito di Leskov, dal momento che i suoi racconti sono frutto di un’esperienza diretta e mirano sempre a una morale. Ma al tempo stesso è anche uno scrittore, uno che sa quello che vuole dire (Sessi), che sa imbastire narrazioni partendo da immagini, pensieri, documenti, così come ha fatto per Storie naturali e Vizio di forma, ma anche per il suo primo romanzo d’invenzione, Se non ora, quando? Inoltre, scrittore lo è anche come saggista, quando si cimenta in quel genere oggi desueto che è l’elzeviro, la divagazione dotta, il micro-saggio racchiuso in due colonne di giornale.
Se Levi scrittore è nella scia della tradizione italiana, da Manzoni alla prosa d’arte del ‘900 - di cui, alla pari di Calvino, ha ripreso il taglio novecentesco -, come narratore è invece inventore di un modo inconsueto di raccontare (la novità strutturale di Se questo è un uomo è sottolineata in più di un saggio, ed è stata, insieme al linguaggio, la causa dell’incomprensione iniziale, del rifiuto, una incomprensione letteraria più che ideologica). A complicare ancora le cose, c’è da dire che Levi è anche un saggista di forte tempra morale: I sommersi e i salvati è un’opera che si situa nella scia dei Saggi di Montaigne e dei Pensieri di Pascal, come fa notare un saggio qui raccolto (Daniela Amsallem)
Insomma c’è molto materiale su cui riflettere e che ci permette - questa è una delle ragioni di questo numero di «Riga» - di pensare un’idea di letteratura che vada al di là di quella di «fiction» oggi prevalente, un’idea dello scrivere di cui Levi riassume, a suo modo, la gloria e le innumerevoli contraddizioni. L’altro aspetto importante è quello dei tre mestieri di Levi traendoli da un ampio materiale inedito e disperso (insieme alle interviste, che sono parte integrante del suo lavoro di narratore e testimone), proprio per ribadire che oltre che testimone, egli è anche un uomo di scienza (su questo si veda in proposito l’ampio contributo di Mario Porro), un amante delle parole e dei giochi linguistici, un innovatore del vocabolario (si legga il dizionario di Stefano Bartezzaghi), un curioso e un appassionato indagatore di zone marginali della nostra cultura, ma soprattutto un amante della complessità e dell’ibridazione tra i diversi saperi (letteratura, scienza, antropologia, linguistica, etologia, ecc.) come dimostra la sua antologia personale (Giorgio Bertone).